“Ho sempre voluto restituire quello che la Francia mi ha dato durante la carriera. Nel mio piccolo cercherò di rendere ancora più popolari le corse dei cavalli che mi danno sensazioni uniche”.
Due milioni e centomila follower su Twitter, 639.000 su Instagram, per impatto mediatico l’ex giocatore di basket e stella della NBA Tony Parker per il mondo delle corse (cha ha investito parte dei suoi guadagni in una scuderia che ha dato il nome Infinity Nine Horses) è davvero un dono caduto del cielo.
Non è, comunque, una novità che figure di spicco siano coinvolte nelle corse. Ma negli ultimi decenni – non parliamo dell’epoca di Françoise Sagan o Alain Delon, che ricordiamo in Italia presente a San Siro nel 1974 per la vittoria del suo Equileo nel Gran Premio d’Europa – la parola d’ordine è stata discrezione.
L’idea che ne esce è semplice: abbiamo cavalli da corsa, ma non ne parliamo. Vergogna di essere associato a un ambiente apparentemente antiquato? Volontà di non mostrare le trappole della ricchezza? Cattiva immagine della scommessa? Forse un po’ di tutto. In ogni caso per lungo tempo è stato più chic parlare di collezioni d’arte che di cavalli da corsa.
Calcio e Ippica: legame possibile!
Un trend simile a quello che avviene in Italia. Quanti sanno che Carlo Ancelotti (ora all’Everton) a Parigi ha iniziato ad appassionarsi e ha comprato in società col suo preparatore atletico tre o quattro galoppatori? Quanti – non addetti ai lavori dei cavalli – sanno che Massimo Allegri è stato sin da ragazzo abituale frequentatore dell’Ardenza e scommettitore? Nessuno. Perché la capacità di proporsi al di fuori del proprio perimetro se è difficile in Francia da noi è una chimera.